Polis festival 25: scena, corpi e tecnologie tra gioventù e apocalisse
Renzo Francabandera, “PAC”, 10 maggio 2025
https://www.paneacquaculture.net/2025/05/10/polis-festival-25-scena-corpi-e-tecnologie-tra-gioventu-e-apocalisse/
“Qui si respira sempre, da sempre, aria di gioventù e di progettualità internazionale. Passano gli anni ma il tempo sembra restare sempre giovane in questo festival. Negli ultimi anni, il POLIS Teatro Festival di Ravenna si è affermato come uno spazio di riferimento per un teatro contemporaneo che intreccia estetica delle nuove generazioni e impegno civile con una cifra sovranazionale. Sotto la direzione artistica di ErosAntEros, ovvero Davide Sacco e Agata Tomšič, il festival ha proposto una programmazione che affronta temi quali diritti civili, migrazioni, guerre, cambiamento climatico e il ruolo dell’arte nella società, sfruttando in forma ampia i legami intessuti dai due nel loro continuo girare per l’Europa e non solo a tessere nuovi legami artistici.
L’edizione 2025 del festival, l’ottava, ha presentato oltre 35 appuntamenti tra spettacoli, incontri e tavole rotonde, con otto prime nazionali e la partecipazione di artisti, studiosi e operatori internazionali. Il festival ha coinvolto vari luoghi culturali di Ravenna, come il Teatro Rasi, il MAR – Museo d’Arte della Città di Ravenna, le Artificerie Almagià e il Teatro Socjale di Piangipane. Tra le iniziative di rilievo, l’introduzione di POLIS NEON, una sezione dedicata alla scena teatrale italiana under 35, realizzata con il sostegno del Ministero della Cultura e di SIAE nell’ambito del programma Per Chi Crea. Inoltre, il festival ha promosso l’accessibilità culturale attraverso progetti come i biglietti sospesi, permettendo a un pubblico più ampio di partecipare agli eventi.
L’apertura della serata dell’8 maggio è stata affidata a Un’Odissea Teen, nuova creazione della compagnia catalana La Mecànica, in prima nazionale presso le Artificerie Almagià, all’interno della sezione Iberian Focus. Il titolo gioca su una duplice suggestione: da un lato evoca il viaggio mitico e formativo dell’Odisseo omerico; dall’altro, pone subito al centro il suo pubblico di riferimento, i “teen”, ovvero quella fascia d’età dove ogni percorso di crescita può assumere i contorni di un’odissea intima e, insieme, collettiva.
Il progetto si presenta come una performance immersiva che fonde teatro fisico e interazione digitale attraverso l’impiego dell’applicazione Kalliôpé, realizzata dalla Fundació Èpica di La Fura dels Baus – storico collettivo catalano noto per la sua radicale sperimentazione performativa. L’uso dell’app da parte del pubblico non è un mero orpello tecnologico, ma costituisce l’ossatura interattiva dell’intero evento: i telefoni cellulari non banditi ma incorporati nello spazio scenico, diventando protesi attive e strumenti di drammaturgia partecipata. Il meccanismo è quello di Domini public di Roger Bernat, che a quasi quindici anni dalla sua creazione continua a vantare numerosi epigoni, curiosi e di qualità. Nel lavoro di Bernat avevamo le cuffie e ci spostavamo sulla base di domande che ci venivano fatte. Qui le domande sono a cellulare, si risponde a quesiti a scelta multipla e poi, in base alle risposte date, ci si sposta in uno spazio buio ma illuminato con lampade di Wood trasportate sulla cima di lunghe aste che i performer muovono nello spazio scenico.
Un’Odissea Teen non si limita a parlare dei legami intergenerazionali, dividendo i partecipanti per generazione, ma cerca di coinvolgerne direttamente il linguaggio e i codici, ricorrendo al mezzo tecnologico con cui intrattengono il loro rapporto quotidiano con il mondo. Non si tratta tuttavia di un esercizio retorico o di un richiamo all’innovazione fine a sé stesso. La tecnologia – come nel migliore teatro post-drammatico – diventa dispositivo di messa in discussione del ruolo dello spettatore, che viene reso parte integrante del racconto. Alcune cose più a fuoco, altre magari solo accennate ma nel complesso l’azione resta coinvolgente per i partecipanti.
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Ci spostiamo al Teatro Rasi per lo spettacolo di Annachiara Vispi, Sei la fine del mondo (letteralmente) – Visioni ecofemministe tra corpo, ironia e collasso, spettacolo scritto e diretto da Annachiara Vispi, e interpretato da Valentina Ghelfi e Selene Demaria. L’opera si imposta fin dalle prime battute come una riflessione feroce, stratificata e non priva di ironia sulle implicazioni politiche, etiche ed esistenziali del pensiero ecofemminista. Siamo di fronte a una performance che non si lascia facilmente catalogare: né teatro di parola né performance art in senso stretto, ma un ibrido consapevole in cui corpo, linguaggio e immagine video si intrecciano per disegnare un atlante distorto – e per questo lucido – del nostro presente.
All’ingresso in sala ci accolgono le due figure femminili vestite di shorts e top color carne, quasi a spogliarle di qualsiasi connotazione che vada oltre la loro corporeità e che, di lì in poi, costruiscono e decostruiscono continuamente relazioni, discorsi, ruoli. Il dispositivo scenico è essenziale, ma denso di riferimenti tramite proiezioni a video che seguono in loop il parlato: uno schermo sul fondo trasmette immagini che si fanno talvolta controcampo visivo, talvolta amplificazione simbolica di ciò che le attrici dicono o agiscono. La parola – che mantiene un tono tagliente, quasi aforistico – è usata per smontare pezzo dopo pezzo le narrazioni del capitalismo neoliberista, della cultura patriarcale e dell’antropocentrismo che regolano il nostro rapporto con il pianeta.
Vispi costruisce un discorso drammaturgico che vuole accogliere – talvolta con più efficace linearità, altre finendo per mettere molta carne al fuoco – il paradosso, la comicità, l’assurdo, in piena continuità con la lezione del teatro postmoderno e delle avanguardie performative femministe. Il linguaggio scenico si avvicina a quello della lecture performance, per poi provare comunque di tanto in tanto a deviare, in favore di una corporeità che si ribella alla pura funzione illustrativa. Le due interpreti, poi, non offrono personaggi, ma soggettività frantumate che oscillano tra l’interpretazione e il commento, tra l’identificazione e la distanza. […]”