Polis Festival, il teatro come lingua comune
Giulia Damiano, “Altre Velocità”, 18 giugno 2024
https://www.altrevelocita.it/polis-festival-il-teatro-come-lingua-comune/
“Dal 7 al 12 maggio 2024 si è tenuta, a Ravenna, la 7° edizione di Polis Teatro Festival, con un focus sulla scena contemporanea tedesca. Il festival, ideato e diretto da Davide Sacco e Agata Tomšič, della compagnia ErosAntEros, è dal 2018 un interessante scorcio per guardare l’affondo che l’arte può fare nel sociale e – verrebbe da dire, non dandolo per scontato in questo settore – viceversa. Tra gli intenti che il festival dichiara fin dalla sua prima edizione c’è quella di «offrire alla cittadinanza la possibilità di entrare in contatto con quelli che nella polis antica venivano chiamati i tecnici di Dioniso, ovvero coloro che attraverso l’arte teatrale, trasmessa per contagio da un dio, portavano i cittadini a condividere uno spazio e un tempo di riflessione sul presente». A partire dal 2022 il progetto si è aperto alla scena internazionale, con un focus sulla drammaturgia contemporanea francese. Il 2023 è stata la volta del Balkan Focus, e quest’anno si approda in Germania.
La locandina del festival di quest’anno ospita, come da tradizione, un disegno di Gianluca Costantini, fumettista ravennate noto per le sue opere di graphic journalism (famoso è diventato il ritratto che fece di Patrick Zaki), che per questa edizione di POLIS omaggia Il cielo sopra Berlino, film di Wim Wenders. L’angelo disegnato, dichiarano Sacco e Tomšič, è però anche l’Angelus Novus di Paul Klee, ripreso da Walter Benjamin con la sua teoria di “angelo della storia”. In questo senso l’angelo è sia testimone di una comunanza che valica i muri, i confini, sia uno sguardo sulle rovine che la storia macina. L’ambivalenza dell’angelo disegnato per POLIS rispecchia un po’ il riunirsi di artisti provenienti da realtà diverse, che osservano e riflettono le macerie del nostro presente, attraverso la lingua comune del teatro.
Il festival conta a Ravenna (in particolare Teatro Rasi, Artificerie Almagià e Teatro Socjale) diversi eventi, oltre agli spettacoli, tra cui due tavole rotonde (registrate e recuperabili online dal sito del festival) e momenti di confronto tra studiosi, artisti e operatori internazionali, senza escludere il motore partecipativo del progetto: gli spettatori.
Quanto agli spettacoli troviamo, tra le ospitalità internazionali del festival: Posseduto del collettivo femminista berlinese She She Pop; The Walks del collettivo berlinese Rimini Protokoll; Death and Birth in My Life dell’artista svizzero Mats Staub; Autodiffamazione della compagnia italo-tedesca Barletti-Waas. ErosAntEros presentano in prima assoluta Sulla difficoltà di dire la verità, tratto, come anche Santa Giovanna dei Macelli, dall’opera di Brecht. E tra le presenze nazionali e più giovani: Millenovecento/89 del duo Le Cerbottane e Still Alive di Caterina Marino.
Di seguito ripercorriamo alcuni dei vari spettacoli e momenti di condivisione di questa edizione avuti, in particolare, negli ultimi due giorni del festival, l’11 e il 12 maggio.
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Ai partecipanti e alle partecipanti del festival viene proposta un’ultima prova di empatia con Death and Birth in My Life di Mats Staub al’Almagià di Ravenna. Le video installazioni pensate da Staub sono solo la fine di un lungo progetto che conta 85 interviste registrate tra Europa e Africa. Quella che l’artista svizzero propone è una selezione di ritratti racchiusi in otto interviste, che ruotano attorno alle domande di partenza: «Quali morti e quali nascite hanno influenzato e cambiato la mia vita finora? Chi ho accolto, chi ho perso e a chi ho detto addio, e che cosa mi è accaduto nel processo?».
Le installazioni audio-video sono organizzate in otto semicerchi formati da sedie rivolte, per ogni gruppo, verso due schermi verticali (uno per ogni interlocutore o interlocutrice). Il pubblico può, così, decidere di sedersi e ascoltare in cuffia una sola coppia delle otto.
Le luci basse, i piccoli gruppi in ascolto, le voci in cuffia, le pause che ogni persona lascia all’altra mentre questa si racconta, gli sguardi con le altre persone di quello o di altri gruppi, fanno sì che l’esperienza sia di un’inaspettata e rara intimità. A fine spettacolo, per chi lo avesse desiderato, era previsto un momento di raccoglimento tra spettatori e spettatrici (in alcune repliche con la presenza dello stesso Staub) per condividere storie e riflessioni su quanto appena sentito.
L’intervista fatta a Sharon & Hlengiwe in Sud Africa è piena di dolore e di ottimismo, in egual misura. Le due donne si confrontano sulle morti e sulle nascite che hanno vissuto nelle loro vite. Una delle due, di origini indiane, parla di un figlio nato morto, del senso di colpa impartitole dalla famiglia, della sfiducia provata nei confronti del suo corpo. La condivisione di esperienze porta le due a condividere riflessioni condivise «il nostro corpo non è una macchina che sforna panini. Va celebrato, è un miracolo» e ancora «quando partorisci c’è qualcosa in te che muore», «a volte la rabbia è importante», «la povertà ti priva di una vita dignitosa», «la povertà non è una cosa normale con cui vivere», «la tua vita non dovrebbe essere determinata da dove sei nata», «c’è morte e morte: la morte non è uguale per tutti» e alla fine «le esperienze con la morte ci hanno insegnato a vivere, ci hanno fatto apprezzare la vita». La vita, si chiedono, la capiremo mai?”