PIÙ POLIS, NEL FESTIVAL DI EROSANTEROS A RAVENNA
Michele Montanari, “Gli stati generali”, 10 maggio 2018
https://www.glistatigenerali.com/beni-comuni_teatro/piu-polis-nel-festival-di-erosanteros-a-ravenna/

Siamo a Ravenna, città di storia e di bellezze antiche, ma anche provincia esigente, ambiziosa, nella vasta agorà del suo teatro. La città dell’omonimo Ravenna Festival, del Teatro delle Albe, di compagnie avanguardiste come Fanny&Alexander e di vivaci artisti come Agata Tomsic e Davide Sacco, alias ErosAntEros. Loro, sono i soggetti di questo articolo in forma di intervista. E trasformare Ravenna in una teatropoli permanente potrebbe essere la visione meravigliata di un giorno di maggio trascorso assieme per parlare del loro Festival agli esordi: Polis Teatro Festival, 17-20 maggio prossimi.

Prima di porre a Davide (regista e sperimentatore musicale) e Agata (attrice, drammaturga e ricercatrice) alcune domande su questo festival, è bene anticipare che il suo nome è ispirato alla centralità del teatro nella polis greca ed è mosso da una febbrile ricerca di interazione tra gli artisti coinvolti e gli spettatori.

La retrospettiva è la Grecia classica di Dioniso e dei suoi emissari, gli artisti, chiamati a contaminare gli spettatori, nell’illusione possibile di restituire “cittadinanza alla polis” secondo un ideale di armonia sociale, politica e istituzionale che pare ad ogni latitudine del pensiero un’utopia. Un progetto simile oggi vacilla sull’orlo consumato di annose battaglie culturali finite sui libri d’accademia. E’ vero. Come credere che l’ennesimo Festival di teatro possa far breccia nel misero spettacolo del quotidiano nelle nostre città, dove la politica parla la lingua del cabaret o della ristorazione, i cittadini fuggono dalla vita pubblica nella frenesia social, e tanti artisti stentano nelle loro gabbie o si vendono a un mercato di intrattenimento o di consumo estetico?

“Che fare?” è una domanda che già rieccheggia motti rivoluzionari, ed EroAntEros di rivoluzione si sono sempre nutriti. Il loro spettacolo poetico 1917 verrà rappresentato proprio durante il festival.

Tra le tante, una risposta possibile è fare teatro, fare di questo un luogo di arte viva composta di umanità diverse e differenze riabilitate al reale, superando distinzioni sociali, definizioni teoriche, paure d’inadeguatezza morale, sulle ali forti un’illuminata ingenuità. Così che dal mondo dell’arte possa arrivare se non la grazia divina, quantomeno il sollievo dell’umana bellezza, o la miglior condanna salvifica da parte della memoria storica. Dalla musica, dal canto poetico, dal grido di innumerevoli artisti può sempre essere contaminata la decadenza di un tempo furioso e freddo, che ha fatto della partecipazione una pratica digitale, della collettività un bacino di solitudini.

Crisi di sistema, una politica sfinita e assotigliata; amnesia sociale, atonia emotiva, e molti artisti si interrogano sulla propria responsabilità, sul senso del loro agire nell’agorà che schiamazzando agonizza. Questo è ciò che un artista è chiamato a fare, da un Dioniso remoto, ma anche dalla natura delle umane cose: scavare nelle coscienze fino a trovare l’uomo. E farlo poi, attraverso i diversi linguaggi dell’arte, della spietatezza della parola, del suono, della visione.

Così Polis, nell’illusione virtuosa che l’arte possa “fare bene sempre e comunque al di là del dolore che procura”, che possa contagiare gli spettatori, e di quelli possa cambiare anche solo pochi pensieri per un tempo sufficiente a nuove azioni o nuove astensioni.

Il Festival sarà spettacolo trasversale mescolando il dialetto romagnolo di Nevio Spadoni a Oscar Wilde, i poeti russi del primo Novecento a diversi esperimenti di maieutica sociale, lezioni magistrali e un film della storica compagnia Odin Teatret, con una prima serata sulle spalle di due ciclopi come Umberto Orsini e Giovanna Marini.

Date le premesse, ecco l’intervista.

1. Lungo il percorso artistico di ErosAntEros nasce Polis, un festival all’insegna delle parole attore, musica, poesia. Qual è in essenza la vostra idea di “festival”, nel denso vivaio italiano di festival, feste e rassegne?

Quando abbiamo deciso di lanciarci in questa nuova avventura ci siamo chiesti prima di tutto come potevamo differenziare un festival teatrale dalla ricchissima offerta di rassegne culturali del nostro territorio e la risposta più sincera l’abbiamo trovata nel fuoco che giorno per giorno accende il nostro percorso teatrale, ovvero la domanda sulla relazione tra l’artista e lo spettatore, tra il teatro e la società. Da questa domanda nasce il nome “Polis” e tutto il bagaglio storico e culturale che si porta appresso. Il modello della polis antica prevedeva una partecipazione attiva alla vita politica di tutti i cittadini, così noi con il nostro POLIS Teatro Festival proviamo a riavvicinare quest’arte viva alla collettività, ospitando oltre agli spettacoli anche momenti di approfondimento e incontro, nonché eventi di carattere esplicitamente partecipativo come Spectator e Parteci-Polis. Al centro di questa visione abbiamo messo la figura dell’attore-performer come tramite essenziale della relazione fra spettacolo e spettatore, tra teatro e società. Per questo abbiamo scelto di non focalizzarci su grandi allestimenti, ma su grandi performance, dove la presenza dell’attore è al centro. Inoltre, abbiamo perseguito l’idea di un teatro inteso nel senso più ampio e aperto possibile, superando inutili distinzioni tra generi, all’insegna della contaminazione tra linguaggi e generazioni, sia di artisti che di spettatori. Per questo, siamo onorati di aprire questa prima edizione di POLIS con uno spettacolo che vede in scena due grandi maestri del teatro e della musica come Umberto Orsini e Giovanna Marini ne La ballata del carcere di Reading, di Oscar Wilde, con la regia di Elio de Capitani. E allo stesso tempo felici di averlo intersecato all’interno del programma con artisti di differente provenienza come l’Odin Teatret, il Teatro delle Albe e il nostro stesso lavoro.

2. Siete una realtà teatrale che lavora sul rapporto diretto e critico attore/società e attore/spettatore, per un teatro dall’impulso politico e poetico. Pensate che la poesia del passato e del presente possa farsi portatrice di istanze politiche e sociali, assieme al canto, alla musica, in un tempo afflitto dalla volgarità e dalla velocità di superficie? Che rapporto avete con la poesia nel vostro privato?

La poesia non solo può, ma a nostro avviso raggiunge le più alte sfere quando oltre al lirismo e alla ricerca formale tocca istanze di carattere politico e sociale. E ci sono mille modi e sfumature diverse per raggiungere obbiettivi di questo tipo. Solo a Polis quest’anno portiamo almeno sette esempi di poeti che in diverso modo hanno indagato la società e si sono impegnati per cambiarla o per tracciarne un ritratto. Ci riferiamo a Wilde, Majakovskij, Blok, Chlebnikov, Esenin, Pasternak e anche a Nevio Spadoni.

Rispetto al nostro “privato” invece diremmo che da quando abbiamo scelto di fare del teatro la nostra vita, esso non esiste più: il privato e la nostra ricerca artistica sono una cosa sola, una scelta di vita, una passione che si nutre di tutto ciò che incontriamo e lo trasforma in materiale di lavoro, a volte rendendolo incandescente subito, altre volte lasciandolo maturare per anni aspettando che arrivi il momento adatto per farlo fiorire.

3. Polis come ritrovato incontro tra artisti e spettatori, armonia tra cittadini e istituzioni: l’artista come depositario di un dono divino, un “tecnico” di Dioniso, può ancora vincere il narcisismo e la solitudine propri e del singolo, e compiere una missione “quasidivina” verso l’armonizzazione di un gruppo sociale, un pubblico, diversi pubblici, con gli artisti, una città e le sue istituzioni? Cosa immaginate (o sognate) quando pensate alla parola “pubblico”?

Del nome antico “tecnici di Dioniso” usato per connotare gli attori, coloro che praticavano l’arte teatrale, l’aspetto che ci interessa più del divino è invece proprio la tecnica, l’arte in senso di ars, artigianato del corpo-voce dell’attore, abile nel padroneggiare le passioni insufflategli dal divino, dai demoni che abitano ognuno di noi, per trasformarle in monito e immagine. Ciò che di lui ci interessa di più è il suo farsi tramite e specchio attraverso quest’arte dei mali del tempo e della società, e quasi per magia, anche con pochissimi semplici elementi, trasformare gli sguardi che su di lui si posano.

Rispetto alla parola “pubblico” invece preferiamo “spettatori”. Con “pubblico” si potrebbe intendere una massa indefinita di persone che pensano allo stesso modo, invece secondo noi il teatro è prima di tutto un movimento in atto all’interno di ciascun individuo. Ogni spettatore interpreta e vive lo spettacolo a modo suo, ogni spettatore ha un vissuto e una storia diversa che gli fanno leggere il materiale scenico in maniera differente, ogni spettatore è in fondo regista dell’opera teatrale che sta guardando.

Per questo motivo ci interessa esplorare e invogliare lo “spettatore attivo”, poiché è fondamentale per noi e per il teatro di oggi rendersi conto di quanto lo sguardo del singolo sia importante e probabilmente diverso dal nostro. E questa diversità va ascoltata, com-presa (presa su di sé) altrimenti rischiamo di arrivare a fare teatro soltanto per noi stessi e per la stretta cerchia di amici che la pensa come noi. Ma con questo ovviamente non crediamo che si debbano assecondare i gusti degli spettatori a tutti i costi, ma anzi, stimolarli a com-prendere il diverso, il nuovo, l’altro da sé esattamente come dobbiamo imparare a fare noi. È un discorso sulla relazione che sta al centro del teatro, ma si potrebbe tranquillamente applicare anche alla società in cui viviamo e in cui tutti siamo sempre più spaventati da tutto ciò che non conosciamo… E la negazione dell’identità dell’altro da sé, del diverso, è la via più semplice, per questo è importante re-imparare a stare insieme attraverso l’arte e la forza dell’immaginazione. Sarà utopico, ma è ciò che ogni giorno ci spinge a continuare e ad andare avanti.

4. Attraverso quali momenti di Polis i vari partecipanti al festival (attori, cittadini, politici, accademici, poeti) troveranno un incontro? Si ascolteranno le persone, in quale modo?

Il programma di questa prima edizione di POLIS prevede due momenti che mettono al centro la partecipazione attiva: Spectator e Parteci-Polis. Il primo è un invito agli spettatori a divenire protagonisti con il proprio atto di guardare, donando all’artista fotografica Marzia Bondoli Nielsen il proprio sguardo, prima e dopo gli spettacoli in programma al Chiostro Grande della Biblioteca Classense di Ravenna, il 18 e il 19 maggio. Un doppio ritratto che nasce dalla triplice relazione tra spettatore, spettacolo e fotografo e che nell’incontro di chiusura in programma l’ultimo giorno di festival, si trasformerà in dono alla città, quando questi ritratti, che altro non sono che un tentativo di fissare in immagine la traccia dell’incontro tra il teatro e lo spettatore, verranno proiettati pubblicamente. Parteci-Polis è invece un invito agli spettatori a divenire cittadini attivi dell’agorà teatrale e condividere pensieri, commenti, riflessioni in forma anonima, nei luoghi di spettacolo dopo la visione dei lavori, o per e-mail all’indirizzo info@polisteatrofestival.org.

Sempre durante l’incontro conclusivo di domenica 20 maggio, che s’intitola per l’appunto Parteci-Polis, cercheremo far nascere un dibattito collettivo a partire dai contributi pervenuti e le riflessioni che ciascuno dei presenti avrà voglia di condividere. Si tratta ovviamente di una scommessa: non sappiamo se gli spettatori parteciperanno lasciando i propri commenti durante le serate del festival e soprattutto non abbiamo idea di quelli che saranno i contenuti dei loro contributi. Potrebbe trattarsi di un esperimento fallimentare, ma vogliamo tentare comunque, perché siamo convinti che qualunque sia la risposta del pubblico si tratterà per noi di una risposta significativa, di un’esperienza importante.

5. Credete che gli artisti abbiano una responsabilità verso il pubblico o solamente verso sé stessi?

Ci piace pensare che per un artista la propria etica personale si traduca in responsabilità verso gli altri, ma ciò dipende certamente dall’etica di ciascun artista. Nel nostro mondo ideale l’arte è un dono dei singoli nei confronti della collettività, ma purtroppo nella realtà di tutti i giorni, spesso diventa un modo come un altro per esibire sé stessi o addirittura esercitare un potere.

C’è anche un’altra questione su cui abbiamo riflettuto molto facendo dell’arte il nostro lavoro: riguarda la questione della responsabilità verso il Pubblico con la P maiuscola, il Bene Pubblico condiviso da una comunità di cui l’arte fa parte e che deve essere sostenuta dalla comunità stessa, soprattutto all’interno della società post-capitalistica contemporanea, per non degenerare nel commerciale, che non ha nulla di artistico e può portare la società soltanto alla completa degenerazione, senza più possibilità di ri-uscita.

6. È evidente la ricerca di un coinvolgimento sempre maggiore degli artisti nella discussione pubblica, politica. Basta osservare quanti attori, cantanti, scrittori e cineasti siano invitati ogni giorno ai vari talk televisivi o ad incontri pubblici o in radio. Non temete sia anche questa – tra le tante – una scelta strategica del sistema politico-mediatico per edulcorare la gravità di un panorama sociale e politico compromesso proprio dal disfacimento dell’idea di una Polis contemporanea, atomizzato e aggressivo?

In realtà pochissimi degli artisti che amiamo e stimiamo, vanno spesso in televisione, per cui, almeno per quel che riguarda l’ambito teatrale non percepiamo davvero questo tipo di problematica… Ci sono ovviamente delle mode, dei poteri che permettono a chi li detiene di far arrivare il proprio lavoro a più persone, e spesso non è neppure detto che chi ci riesce lo faccia per merito.

In realtà ci sembra invece che ci sia sempre meno spazio per l’arte negli spazi di discussione pubblica. Basta paragonare la radio e la televisione di oggi con quelle soltanto di trent’anni fa. Oggi la proposta culturale di massa peggiora di anno in anno ed è sempre più fondamentale che l’arte contrasti l’abbassamento culturale generale che si propaga attraverso i media di massa.

C’è un lavoro enorme da fare di rieducazione all’arte e alla polis di tutto il paese, a partire dalle generazioni più giovani, ma senza tralasciare nessuno lungo il percorso. Bisogna applicare delle politiche culturali serie e responsabili, che sostengano il teatro e la cultura in generale, spingendo i cittadini a farle proprie. E per farlo ci sembra che il rapporto tra l’arte e la polis non può che essere bidirezionale.

7. I teatri trasformati in ristoranti, venduti a progetti commerciali di privati. Questo accade ad esempio in una città come Venezia. Per nutrire l’anima e alleggerire le pance, nella bulimia dilagante, tornano a lottare poesia, filosofia teatro e musica, nella vostra idea di Polis. Non pensate che saranno le nuove generazioni, i bambini di oggi, i nuovi cittadini verso le nuove città? Come vedete la questione (grave, delicata) dell’educazione sentimentale e civica delle nuove generazioni?

Viviamo in tempi bui, in cui la politica si disinteressa del singolo e pensa soltanto a coltivare gli interessi di chi detiene il potere finanziario. Le nuove generazioni nell’affannosa corsa contro il tempo quotidiano si stanno dimenticando l’importanza dell’arte e della cultura per la crescita personale del singolo e lo sviluppo di una coscienza critica. In questo tempo in cui dilaga il disinteresse per la politica e la sfera pubblica, questa perdita è doppiamente pericolosa: non ci sono più ideali in cui credere, non esiste più un’etica del vivere comune e il primo ciarlatano è capace di assorbire il consenso delle fasce sociali più deboli, con discorsi e programmi che ci riportano spaventosamente a cento anni fa. Il teatro e l’arte in generale rischia di diventare un prodotto che nessuno vuole, al di fuori delle vetrine frequentate dalle élite alla moda. Dobbiamo darci da fare tutti quanti per fermare questo inesorabile declino.

8. I poeti dell’antica Grecia godevano di prestigio e di attenzione altissima. Oggi i poeti sono voci quasi sconosciute, che parlano spesso filtrate dalla musica, dal teatro, dal cinema. Credete che politica, festival, e il mondo culturale in sé, possano dare una voce diretta alla poesia, e come nel futuro di Polis?

La poesia è superamento attraverso il linguaggio dell’ordine precostituito delle cose. E questo vale sia per la poesia della parola che per la poesia di scena. È questa la sua forza. Gioca con un sistema di segni precostituito e alterandone la grammatica e la sintassi crea un nuovo ordine del mondo. La poesia è intrinsecamente rivoluzionaria ed è questa la sua potenza.

Quest’anno la poesia si è ritrovata a essere al centro del festival anche a livello di contenuti ma non sappiamo se lo sarà anche l’anno prossimo. Abbiamo già alcuni desiderata per il 2019, ma per il momento ci stiamo concentrando su questo inizio e soltanto dopo il festival vedremo come proseguire. Di certo se intendiamo la poesia in senso più ampio, come descritto poco fa, resterà comunque al centro di Polis perché è al centro del nostro fare teatrale, soprattutto del nostro percorso più orientato verso la musica, inevitabilmente diremmo, dato che si tratta di due sorelle che sono molto vicine.