IL TEATRO, LA PANDEMIA E LA VOGLIA DI FUTURO. «QUALE TEATRO PER IL DOMANI?»: UN VOLUME POLIFONICO PER NON DARSI PER VINTI
Nicola Arrigoni, “Sipario”, 9 febbraio 2021
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È diventato una sorta di tormentone: non è possibile più pensare il teatro nei modi pre-pandemia. Nulla sarà più come prima. Bisognerà tener conto delle esperienze online, dello streaming, anche quando tutto sarà finito. Ovvero quando sarà possibile tornare in sala. Eppure i segnali di sopravvivenza sono quelli di un ritorno o affanno produttivo non diverso dal solito. Le grandi istituzioni teatrali stanno ferme, se va bene producono in attesa di riaprire e come atto di visibilità sociale – se riescono – accendono le luci della ribalta in favore di telecamera, Rai 5, o di streaming. Ad un anno dalla chiusura dei teatri, il 24 febbraio 2020, la casa editrice Editoria & Spettacolo dà alle stampe Quale teatro per il domani?, a cura di Agata Tomšič di ErosAntEros (pagine 268 – 16 Euro).
Si tratta di un volume che raccoglie le testimonianze di registi, attori, critici, organizzatori culturali che hanno offerto il loro punto di vista, sollecitata da Polis Teatro Festival, kermesse diretta da Agata Tomšič e Davide Sacco, che dal 2018 a Ravenna «indaga la relazione tra l’artista e lo spettatore attraverso spettacoli, progetti formativi e partecipativi, che ambiscono a far riacquisire al teatro quel ruolo fondamentale che aveva nella polis antica come luogo di incontro della comunità e di riflessione sul presente», si legge nell’introduzione diAgata Tomšič. Tutto ciò – ovviamente – con lo scoppiare della pandemia è venuto meno, ma non è venuta meno la voglia di ErosAntEros di interrogarsi sul teatro e sul suo ruolo comunitario. Sono saltati i laboratori, gli spettacoli, ma non la voglia di confrontarsi e così tra il 20 e 24 maggio 2020 sul canale web ErosAntEros ed Emilia Romagna Creativa ha preso corpo il convegno online volto a trovare una risposta a Quale domani per il teatro? I vari relatori si sono interrogati e hanno riflettuto su spazio, parole, visioni, linguaggi e corpi del teatro che verrà. Quelle giornate di confronto sono ora diventate un libro, i relatori hanno in parte rivisto i loro interventi per la pagina scritta e ne è uscito uno spaccato interessante e denso di contributi – eterogenei per la loro stessa natura – ma tutti con un fine: chiedersi quale sarà il domani possibile del teatro.
La ricchezza del volume sta nella natura eterogenea degli autori, nelle forme liberissime di intervento che in un certo qual modo finiscono col rappresentare gli autori stessi. Ciò che mette insieme il volume curato da Agata Tomšič è un concerto polifonico, è un atto di amore nei confronti del teatro i cui temi abusati: la necessità dell’arte, il teatro indispensabile, la centralità del corpo, la centralità della parole, il ruolo dello spettatore si intrecciano, si rincorrono, a tratti si ripetono, ma offrono pur sempre uno spaccato di quel mondo del teatro che da un giorno all’altro ha visto la sua stessa esistenza essere sospesa, chiusa fino a data da destinarsi… una brusca interruzione che se nel primo lockdown è parsa choccante ma carica di occasioni di riflessione, oggi rischia di essere una lenta e inesorabile agonia senza fine.
In tanti hanno voluto prestare la loro testimonianza: Csaba Antal, Penny Arcade, Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla, Chris Baldwin, Anna Bandettini, Federico Bellini, Nicola Borghesi, Elena Bucci, Roberta Carreri, Luigi Ceccarelli, Ascanio Celestini, Claudio Cirri, Silvia Costa, Ian De Toffoli, Elena Di Gioia, Francesca D’Ippolito, Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, Federica Fracassi, Renzo Francabandera, Lucia Franchi e Luca Ricci, Martina Gamboz, Piergiorgio Giacché, Eugenio Giorgetta, Hervé Goffings, Raimondo Guarino, Gerardo Guccini, Florian Hirsch, Frank Hoffmann, Bojan Jablanovec, Borut Jerman, Chiara Lagani, Licia Lanera, Roberto Latini, Miloš Latinović, Vincent Jean Emile Longuemare, Marco Lorenzini, Maria Federica Maestri, Lorenzo Mango, Marco Martinelli, Lucia Medri, Silvia Mei, Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi, Luca Micheletti, Ermanna Montanari, Anna Maria Monteverdi, Laura Palmieri, Silvia Pasello, Maria Dolores Pesce, Andrea Pocosgnich, Pascal Rambert, Amedeo Romeo, Daniela Sacco, Benedetta Saglietti, Attilio Scarpellini, Marco Sgrosso, Magda Siti e Stefano Vercelli, Julia Varley. Si tratta di un bello spaccato del mondo delle arti performative, si tratta di una polifonia di voci che se a tratti sembra voler suonare il medesimo brano, nell’approccio soggettivo alla pandemia e alla comune condizione di sospensione esistenziale regala punti di vista curiosi, in alcuni tratti divertiti e leggeri.
Certo a leggere oggi quei diari in forma di relazione – a un anno dalla chiusura dei teatri – l’urgenza di testimoniare, di dire per essere ha il sopravvento sulla risposta da dare all’interrogativo che compone il titolo. Le parole da maneggiare con cura indicate da Nicola Borgesi, gli interrogativi sulla visione che siamo, siamo stati e saremo, posti da Roberto Latini, oppure il più tranchant «Niente, zero, vedo nero (…) Forse ha ragione la Duse, a parlarne troppo d’arte, se ne perde il profumo», scrive Elena Bucci rappresentano alcuni esempi delle diverse temperature che contraddistinguono le voci raccolte nel libro. In questa diversità interna e interiore sta il bello di Quale teatro per il domani? E anche dopo la lettura dei 57 contributi, sugellati dalla postfazione in forma di diario di Marco De Marinis rimane l’amarezza per i teatri chiusi, la sensazione di aver dato ascolto a voci che urlano nel deserto… mentre c’è chi lamenta anche nel nascituro governo Draghi un silenzio assordante sulla cultura… E allora chiedersi Quale teatro per il domani? diventa un atto di resistenza, diventa un proferir parola per dire di esistere, per resistere insieme e l’abbraccio in copertina fra Lennon e Yoko Ono ti butta in faccia il bisogno di fisicità, ti butta in faccia una fragilità che è non solo del teatro, ma è dell’uomo…