Ingresso gratuito
Guardando alla polis antica, e al suo funzionamento, potremmo parlare di una politica della performance, la quale oggi è interamente da reinventare, perché, con la modernità (e oggi, la postmodernità), ciò che si instaura in Occidente è qualcosa che le somiglia ma, in realtà, ne rappresenta l’esatto contrario: la performance della politica.
La performance della politica coincide con quella che Guy Debord, cinquant’anni fa, chiamò la società dello spettacolo, “il sole che non tramonta mai sull’impero della passività moderna”. In altri termini, essa rappresenta lo spettacolo del potere, meglio ancora, il potere in quanto spettacolo, rappresentazione ininterrotta. Un fenomeno che, nelle forme ancora attuali, debutta fra XVI e XVII secolo, con l’avvento degli Stati assoluti, ed arriva a mostrare tutte le sue potenzialità durante il Novecento dei regimi totalitari (comprese la variante delle dittature democratiche, o “democrature”), utilizzando per i propri scopi tutti i mezzi di comunicazione di massa: dal cinema alla radio, dalla pubblicità alla televisione, senza dimenticare i vecchi media rappresentati dagli spettacoli viventi, le cerimonie e le feste.
Da questo punto vista, con l’avvento dei new media (internet, social networks, etc.) non accade niente di interamente nuovo. Assistiamo soltanto alla radicalizzazione di un fenomeno, che sfrutta a proprio vantaggio l’illusione di interazione e di partecipazione che questi nuovi mezzi offrono al pubblico, il quale resta nondimeno assolutamente passivo e sempre più manipolato.
Ormai, la politica non è più (come in origine e per molto tempo) l’arte di risolvere razionalmente e ragionevolmente i problemi reali della comunità, mediante la discussione collettiva, ma è diventata principalmente, se non esclusivamente, l’arte di mettere in scena, di drammatizzare i problemi, spesso inventando ex novo delle emergenze che non sono tali realmente al solo scopo di mantenere e accrescere il consenso elettorale.
Pertanto, oggi, il tentare di ritornare a una politica della performance (come quella nata nella polis classica) comporta niente meno che il rovesciamento di questa performance della politica, ovvero della società dello spettacolo, un cambiamento radicale di paradigma, di cui per altro il Novecento ci ha già mostrato la possibilità. Questo cambiamento radicale dovrebbe fondarsi su un certo numero di opposizioni, a cominciare da quella, primaria, teatro vs spettacolo, cioè:
partecipazione vs passività (o pseudopartecipazione)
comunità (collettività) vs individuo
corpo vs immagine.
Marco De Marinis ordinario di Discipline Teatrali nell’Università di Bologna, è stato responsabile scientifico del Centro Teatrale “La Soffitta” dal 2004 al 2017. Nel 1999 ha fondato la rivista «Culture Teatrali», dotata anche di una versione online. Molti suoi libri e articoli sono stati tradotti nelle principali lingue. Fra gli ultimi volumi pubblicati: Etienne Decroux and His Theatre Laboratory, Icarus/Routledge, Holstebro-Malta-Wroclaw-London-New York, 2015; Al limite del teatro. Utopie, progetti e aporie nella ricerca teatrale degli anni sessanta e settanta(1983), Imola, Cue Press, 2016; Ripensare il Novecento teatrale. Paesaggi e spaesamenti, Roma, Bulzoni, 2018.